Sorpresa: la pirateria non arriva (solo) da Internet

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Da Il Fatto Quotidiano: di  | 31 luglio 2012

Sorpresa: la pirateria non arriva (solo) da Internet

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“Da più di 10 anni, più o meno dalla nascita di Napster, ci sorbiamo i piagnistei di produttori discografici e cinematografici riguardo il terribile fenomeno della pirateria online. Gli uffici stampa delle associazioni di categoria ci hanno inondati di dati catastrofici, che condannano senza attenuanti i fan del p2p. Sono loro, i fantomatici ragazzini dal download facile, la causa prima dei cali di vendite e profitti di artisti e major. I dati riportati periodicamente erano dettagliatissimi: riportavano cifre, stime e analisi approfondite sul fenomeno. Le conclusioni erano incontestabili. A sentire i talebani del copyright, la Rete è letteralmente infestata di server pirata, computer dedicati allo scambio dei file e network illegali che hanno sgretolato, in una manciata di anni, il business della musica e dei film. La crociata della Riaa, l’associazione dei discografici americani, e soci ha trovato terreno fertile nelle aule di giustizia e nei parlamenti di tutto il mondo, indicando uno e un solo colpevole: Internet.

Curiosamente tutte queste ricerche trascuravano di affrontare un dato. Un dato che nessuno, per la verità, si è mai preoccupato di considerare seriamente.  Almeno fino a quando una presentazione PowerPoint interna alla stessa Riaa non è “scivolata” sul Web ed è finita tra le mani di TorrentFreak, un blog dedicato al tema del file sharing. Il dato che nessuno ha mai considerato riguarda la quantità di copie pirata effettivamente generate dal file sharing. Ed ecco la sorpresa: secondo i dati in possesso della stessa Riaa, questo valore è di appena il 30%.

I dati si riferiscono agli Stati Uniti e indicano che su 100 mp3 in circolazione, 35 sono stati acquistati legalmente. Delle rimanenti 65 “copie pirata”, 27 sono state copiate direttamente dal CD, 19 scambiando fisicamente i file da un disco all’altro e soltanto 15 provengono dal peer to peer. Ancora meno sono quelli scaricati da siti come MegaUpload: solamente 4. Questa informazione, assente in tutti gli studi pubblicati e diffusi in più di dieci anni, nessuno si è mai sognato di chiederla. E come dargli torto? Ammettiamolo: eravamo tutti sinceramente convinti che Internet fosse il vero colpevole.

Nessuno quindi si stupiva più di tanto che per i pirati telematici venissero chieste pene esemplari. L’accanimento nei confronti di chi utilizza il p2p per condividere musica era giustificato con l’idea che ogni singolo “comportamento criminale” innescasse un circolo vizioso in cui i brani copiati e diffusi online finivano per raggiungere milioni di persone provocando danni spaventosi al business dell’intrattenimento. Come nel caso di Jammie Thomas-Rasse, accusata di aver scaricato 24 canzoni e condannata a pagare per questo suo crimine 1,5 milioni di dollari (poi ridotti a 54.000) come risarcimento ai poveri discografici defraudati dei loro guadagni.

Ora invece scopriamo che i maggiori responsabili di questa presunta catastrofe sono quegli scambi tra amici (bello questo cd, me lo presti?) a cui abbiamo già assistito per decenni. Qualcuno ricorda i primi registratori con doppia cassetta che permettevano la duplicazione? Lo scambio “fisico” dei file su una chiavetta usb non è molto diverso, al massimo un po’ più rapido.

E adesso? La prima conseguenza è un crollo verticale della credibilità delle associazioni di categoria. A pensar male, infatti, si potrebbe ipotizzare che di questo “dettaglio” fossero a conoscenza da sempre e abbiano preferito ometterlo (nasconderlo) nelle comunicazioni ufficiali. D’altra parte è quello che è accaduto anche nel comunicato stampa relativo allo studio di cui sopra, in cui si accenna a dati che nulla dicono sulla reale incidenza di Internet sul fenomeno della pirateria. La seconda conseguenza è la perdita di credibilità di chi ancora sostiene periodicamente le impresentabili leggi-bavaglio (Sopa, Pipa, Acta, Cispa, etc.) per la tutela del diritto d’autore. Ora che sappiamo il reale impatto di Internet, quale governo avrà ancora il coraggio di mettere la faccia in operazioni che minaccino di sacrificare la libertà d’informazione online sull’altare dei profitti delle major?”

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Internet, la dipendenza è patologia

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Da Il Fatto Quotidiano: di | 12   ottobre 2012

L’American Psychiatric Association inserirà nel prossimo aggiornamento del manuale di diagnosi e cura delle malattie mentali anche i comportamenti distorti legati all’utilizzo del web. Il fenomeno, tipicamente maschile, colpisce in modo particolare giovani dagli 11 ai 23 anni.

Siete più interessati a quello che succede in rete, rispetto a quello che vi circonda? Andate nel panico se non avete una connessione con cui navigare? Forse siete affetti da “disordini psichiatrici legati all’abuso di internet”. Una vera e propria patologia che è stata ufficialmente inserita nel prossimo aggiornamento del manuale di diagnosi e cura delle malattie mentali, il “Diagnostic and statical Manual of Mental disorders”. La nuova edizione sarà disponibile solo a partire dal mese di maggio del prossimo anno e per la prima volta nella storia riconoscerà la dipendenza da internet come una vera e propria patologia. Il documento, redatto per la prima volta nel 1952 dall’American Psychiatric Association, ha ricevuto nella sua storia solo quattro corposi aggiornamenti di cui l’ultimo risale a 12 anni fa. Una situazione che getta ulteriore luce sulla scelta di inserire l’abuso della rete tra le patologie a cui si cerca di porre rimedio. Un fenomeno che, anche se in modo non-ufficiale fino ad oggi, è stato più volte riconosciuto e affrontato a partire dalla definizione dello Iad– Internet addiction disorder dello pischiatra americano Ivan Goldberg che risale al 1995.

Secondo la definizione sono sette i principali sintomi caratteristici di un disturbo legato all’utilizzo di internet: il bisogno di trascorrere tempo online per ottenere soddisfazioni personali, mancanza di interesse per la realtà, ansia e depressione nel caso in cui non si abbia accesso alla rete, l’impossibilità di smettere di tenere sotto controllo gli eventi del web, necessità di ricorrere alla rete con più frequenza rispetto alle solite abitudini, il passare molto tempo connessi e utilizzare internet nonostante evidenti problemi fisici, lavorativi e sociali. Fino a questo momento le principali patologie legate all’utilizzo smodato di internet erano spesso legate ad attività ben precise tra cui la pornografia online o il gioco d’azzardo. In questo caso invece ad essere considerato patologico può essere semplicemente un utilizzo spasmodico di tutta la rete e non solo di una certa categoria mirata. Nonostante questo vengono individuati 5 profili a seconda della dipendenza: cyber-sexual addiction (legato alla pornografia), net-compulsion (gioco d’azzardo e shopping), information overload (ricerca spasmodica di informazioni), cyber-relation addiction (abuso di social network) e computer addiction (utilizzo eccessivo di giochi online).

Il fenomeno non ha risparmiato anche l’Italia che ha visto il Policlinico Gemelli vero pioniere nella cura di questi disturbi. Nel novembre del 2009 il Centro di Consultazione psichiatrica diretto da Pietro Bria ha infatti aperto un ambulatorio per la cura delle patologie legate alla dipendenza da internet grazie alla collaborazione dell’associazione “La Promessa”. “L’utilizzo patologico di internet – aveva commentato lo psichiatra Federico Tonioni – provoca sintomi fisici molto simili a quelli manifestati da tossicomani in crisi di astinenza. Grazie a questo nuovo ambulatorio potremo garantire ai nostri pazienti di contenere quel malessere che per molti durante l’astinenza dal web si trasforma in ansia, depressione e paura di perdere il controllo di ciò che accade in internet, intervenendo nella struttura mentale sottostante alla dipendenza con curiosità e umiltà”. Un fenomeno che in modo particolare colpisce le nuove generazioni: stando ai dati del Gemelli quasi l’80% sono bambini e ragazzi tra 11 e 23 anni con una certa percentuale anche per gli over 30. Fenomeno quasi tipicamente maschile con percentuali che sfiorano il 90% e casi che evidenziano un uso delle rete fino a 18-20 ore consecutive. Dalla sua apertura, l’ambulatorio del Policlinico Gemelli ha assistito ad una vera e propria invasione con oltre 200 casi in meno di un anno e mezzo.”

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